lunedì 18 luglio 2011

MADAGASCAR - LE TOMBE DEI MAHAFALY


Il particolare culto dei morti, nella grande isola africana

La costruzione delle tombe, per i mahafaly, tribù del Sud-ovest del Madagascar, è di primaria importanza: i loro sepolcri costituiscono una vera e propria forma d’arte. Visitare i cimiteri dei mahafaly, anche per chi non è un necrofilo, può essere il motivo più interessante per viaggiare in questa zona del Paese. Costruiti per durare nel tempo, i sepolcri sono più lussuosi e meglio conservati delle abitazioni.
Le tombe, enormi e visibili (volutamente) dalle strade principali, si trovano un po’ dovunque, partendo dalla città di Tulear, capitale regionale del Sud-ovest, e arrivando fino a quella di Fort Dauphin, situata sulla costa sudorientale. Le tombe dei mahafaly sono riservate, generalmente, solo agli uomini ricchi (qui la ricchezza viene calcolata secondo il numero di zebù posseduti, animali che costituiscono il capitale familiare). Hanno tutte una pianta rettangolare, con lati che vanno dai dieci ai quindici metri, e sono costituite da pietre intere che s’innalzano per un metro o più. A seconda della localizzazione, esse variano nel tipo di decorazione, particolare fondamentale in tali costruzioni. A grandi linee, si può fare una distinzione fra le tombe che recano la vita del defunto dipinta - come in un fumetto - sulle pareti esterne, e quelle decorate dagli alo-alo (letteralmente “messaggeri”). Gli alo-alo sono steli in legno scolpito, posizionati verticalmente all’interno delle tombe (specie di totem), raffiguranti situazioni che evocano la personalità del defunto, i suoi beni o, più semplicemente, scene di vita quotidiana (steli simili sono presenti in altri Paesi africani). Gli alo-alo, commissionati a scultori professionisti (anticamente pagati con zebù: uno per alo-alo, cinque per opere eccezionali), hanno oggi un costo piuttosto elevato. Sono inoltre divenuti, nel tempo, elementi decorativi anche di abitazioni, alberghi, ristoranti. Gli alo-alo possono raffigurare di tutto: zebù, uccelli, fumatori di pipa, motociclisti, militari, guerrieri con fucili e lance, impiegati seduti alla scrivania d’ufficio, funzionari coloniali (riconoscibili dal cappello) a cavallo, coppie danzanti, lottatori, giocatori di carte, scene erotiche. Ma anche: un uomo che lotta con un coccodrillo, una donna che munge una mucca, un aereo, un minibus (probabilmente il defunto è scomparso in seguito a un incidente aereo o terrestre), una casa, due uomini che discutono, un funerale, una donna che allatta, un piccolo cimitero mahafaly. Tali soggetti sono ricoperti di vernice, che gli agenti atmosferici presto sgretolano.








La rappresentazione di queste scene di vita quotidiana, però, corrisponde a un’evoluzione relativamente recente dell’arte funeraria mahafaly. Anticamente gli alo-alo erano decorati esclusivamente da uccelli o da zebù. Al massimo, recavano una figura antropomorfa intagliata all’altezza della base, come una donna con il busto scoperto o un guerriero. Sempre anticamente, il diritto di erigere gli alo-alo sulle proprie tombe era riservato esclusivamente al re e ai membri di certi clan dominanti. In seguito, lentamente, tale diritto venne esteso, dietro pagamento, ad altre famiglie, e anche agli antandroy, tribù confinante. Il termine alo-alo probabilmente deriva dal malgascio alo, che significa “intermediario”, “messaggero”. Si può dunque ipotizzare che tali sculture servano da intermediari tra i morti e i vivi, sebbene alcuni studiosi rifiutino tale interpretazione.
Il luogo più noto in Madagascar per le tombe mahafaly è la piccola cittadina di Betioky, situata a 158 chilometri da Tulear (sei ore abbondanti d’autobus), lungo la strada, in gran parte sterrata, che porta a Fort Dauphin. Il luogo, però, non merita la fama attribuitagli: le poche tombe presenti si trovano a una certa distanza dall’abitato (la prima a sette chilometri), i tassisti vi ci conducono a tariffe relativamente esorbitanti, e le decorazioni presenti non sono alcunché di speciale, se comparate con quelle di altre zone. Betioky, inoltre, non ha una ricettività alberghiera adeguata, per l’unica notte che si è costretti a passarvi, se si utilizzano i mezzi pubblici per arrivarci. In caso si decida di visitare e fotografare queste tombe è comunque bene conservare qualche banconota da elargire alle guide locali, solitamente parenti del defunto: il denaro servirà, secondo l’usanza, al morto, nell’aldilà (vanno evitate le monete: sono considerate un’offesa). Prima di fotografare, inoltre, bisogna sempre chiedere il permesso, in segno di rispetto nei confronti del defunto (per alcuni può essere fady, tabù, dunque è meglio informarsi prima).




La zona migliore in tutto il Madagascar per visitare i sepolcri mahafaly si trova più a sud, proseguendo lungo la stessa strada, fra Ampanihy e Beloha. Qui, oltre a trovarsi le tombe più originali (quella dell’unica donna vazaha - bianca -, sposata a un malgascio; oppure quella con un grande aereo scolpito sul muro principale), i sepolcri sono facilmente visibili, in quanto volutamente disposti quasi sul ciglio della strada, per ostentare il prestigio economico del defunto. Ad Ampanihy, piccolo centro agricolo, le tombe si trovano ai confini del villaggio e proseguono, per decine di chilometri, lungo la terribile strada nazionale n°10. Qui possono essere viste tombe costruite sia secondo lo stile antico sia secondo quello moderno. Le prime, in pietra grezza, sono caratterizzate da due alti vatolahy, monoliti in pietra, con funzioni commemorative della figura del defunto, poste lungo i lati principali del sepolcro. Agli angoli, quattro grandi massi fungono da pilastri. Alcune piante fantsilohitra, o “alberi della pioggia” (contenenti acqua all'interno), crescono agli angoli principali della tomba o, più raramente, a fianco di un grande albero nei dintorni.



Il valavato (tomba) è situato in una zona dei campi o del deserto, a seconda della ricchezza del defunto. Gli alo-alo vanno dai quattro ai sedici per sepolcro, collocati secondo un ordine strettamente geometrico, e le figure sono invariabilmente orientate verso est. Quanto più il defunto era ricco, tanto maggiore è il numero di zebù che, al suo funerale, viene sacrificato. Nota è la tomba del re Tsiampody, sulla quale furono contate circa settecento corna. I crani degli animali immolati decorano la tomba, con le lunghe corna che spuntano fra le pietre sotto le quali è conservata la salma. Le loro carni, invece, vengono mangiate dagli ospiti durante la cerimonia funebre. È questa una tradizione che ritroviamo, con sfumature differenti, anche in alcune isole dell’arcipelago indonesiano, terre dalle quali il popolo malgascio trae le sue origini.
A volte, tra le pietre di un sepolcro, può risaltare anche una valigia, atta a simboleggiare il viaggio dello scomparso verso l’aldilà. Una tomba sufficientemente adeguata non può coprire una superficie inferiore ai cinquanta metri quadrati, ed è opinione comune, tra i malgasci più tradizionalisti che abitano questa regione, che una bella tomba valga più di una bella casa. La costruzione dei sepolcri è costosa, ed esige diversi mesi di lavoro. In alcune zone, tuttavia, le tombe tradizionali, in pietra grezza, tendono a cedere il posto alle più moderne, in pietra cementata e intonacata. In questi casi, i muri che delimitano il sepolcro recano alcuni dipinti dai colori vivacissimi, raffiguranti motivi geometrici o scene realiste, tratte dai momenti principali della vita del defunto.





Un esempio molto interessante di questo secondo tipo di tombe può facilmente essere incontrato lungo la buona strada asfaltata che, partendo da Tulear, si dirige al bivio che conduce a Fianarantsoa o a Fort Dauphin. Dopo circa quaranta chilometri, uscendo da Tulear, in località Andranohinaly, sul ciglio della strada sono immediatamente riconoscibili le prime costruzioni. Altre, di uguale interesse, si trovano dopo sette chilometri, sempre nella stessa direzione. Questi sepolcri recano dipinta la vita del defunto, come in un fumetto, sulle pareti bianche di fondo, e una casetta sacra, decorata con specchietti o ulteriori disegni, situata al centro del tumulo. Interessantissimi sono i particolari: se il defunto era un soldato, ecco che vengono raffigurate scene di guerra, a volte esagerate, che il milite, magari, mai ha vissuto di persona (esplosioni di bombe a mano più simili a funghi atomici). Sulla facciata principale di una di queste tombe è stato persino dipinto l’alto costo dovuto alla realizzazione del sepolcro (come segno di vanto), 200.000 franchi malgasci, in passato pari a circa 100 dollari, un vero capitale.





Questo cambiamento di “stile”, rispetto ai valavato più tradizionali, è dovuto al desiderio di costruire tombe dall’aspetto lussuoso. La pietra grezza viene ritenuta, da alcuni, “fuori moda” (soprattutto per le generazioni più giovani), che preferiscono utilizzare il cemento intonacato. Scarsi sono i tentativi dell’amministrazione locale e dei clan per convincere la popolazione che l’arte legata agli avi racchiude una ricchezza culturale ed estetica incomparabilmente superiore a una tecnologia d’importazione, che poco ha in comune con le tradizioni mahafaly.
A Tulear c'è anche un minuscolo museo, sponsorizzato dall’università locale, e dedicato all’arte funeraria mahafaly. Vi sono contenute piccole ricostruzioni di tombe, con qualche, interessante alo-alo (per esempio quello raffigurante una squadra di calcio). Una mostra fotografica permanente e qualche libro specifico sulla materia, esclusivamente in malgascio, approfondisce la conoscenza di una tale tradizione.


Il rito funebre
Il rito funebre mahafaly prevede che si attenda la decomposizione della salma prima di poterla collocare nella tomba. La morte non viene vista come una separazione, ma rappresenta il passaggio verso un rango più elevato dell'esistenza. Per raggiungere questo stato e diventare “antenati” i morti devono abbandonare fisicamente ogni elemento di “umidità”, caratteristico dei vivi, ritenuti effimeri. Per fare ciò i morti vanno letteralmente “essiccati”, e l’unico metodo per ottenerlo è di riesumarli. È anche usanza dare alla persona scomparsa un nuovo nome dopo la sua morte. Il famadihana, il rito della riesumazione delle ossa dei defunti, viene ripetuto periodicamente (da luglio ad ottobre, quando non piove), in base alle capacità economiche dello scomparso.
Più il defunto era ricco, più le feste che seguono la sua scomparsa sono imponenti: a volte durano anche due giorni. Si sparano numerosi colpi di fucile, quindi si sacrificano gli zebù, con il cui sangue va cosparsa la base della tomba. Il primo dovere nei riguardi del morto è quello di chiudergli gli occhi, quindi viene lavato e avvolto in un lamba mena, un drappo di colore rosso di seta. Se il corpo è di una donna, i capelli vengono intrecciati, e i gioielli indossati.
La notizia del decesso viene diffusa per il villaggio e, verso sera, quando la toilette funebre è terminata, i parenti, gli amici, i vicini arrivano e danno inizio alle lamentazioni, cominciando la veglia funebre. Le dimostrazioni di dolore sono sempre piuttosto rumorose, e vengono ingaggiati anche dei “lamentatori” professionisti che, in cambio di denaro, si fanno prendere da crisi acute di dolore e gemono all’impazzata. Contemporaneamente, ha inizio una musica assai vivace, suonata con tamburi e flauti, che danno il ritmo a una vera e propria festa. Tutti si eccitano, e il primo zebù (fampian-driarofo) viene sacrificato.



Ciò costituisce i preparativi del rito. I mahafaly hanno l’abitudine di non interrare il corpo immediatamente dopo la morte e, presso alcuni clan, di attendere, addirittura, che la decomposizione abbia luogo. Inutile sottolineare come queste veglie funebri siano poco gradevoli, continuate per lunghi giorni tra miasmi nauseabondi che appestano l’aria, sopportati solo grazie a lunghi sorsi di vino o di rhum. Questo singolare costume ha il significato di non voler interrare il morto con le sue parti putrescenti, ritenute impure. I sepolcri sono considerati provvisori, come vuole la tradizione delle “seconde esequie”, che ritroviamo anche in Borneo.
Dopo essere stato adeguatamente lamentato (per questo sono necessari dai cinque agli otto giorni), il corpo, finalmente, segue la vera e propria inumazione. Il defunto viene sistemato su un tronco d’albero, appoggiato a terra, nella sua stanza domestica. L’uscita del corteo funebre si effettua lungo il perimetro sudorientale (gli altri sono considerati tabù) dell’abitazione, il cui muro viene abbattuto in tale occasione. Numerosi colpi di fucile sono sparati verso est. Il corteo si mette in cammino, con i parenti e gli amici che seguono la salma, cantando e danzando con grande eccitazione. Giunto in prossimità del sepolcro, il feretro viene delicatamente deposto, e alcuni zebù sono fatti circolare intorno a esso più volte: questa formalità è detta variombola, e assicura ai vivi la benedizione del defunto.



ALO-ALO AL MET DI NEW YORK

Davanti alla tomba tutti restano nel silenzio più completo, uno zebù viene sacrificato, e la fossa è preparata. Dopo le preghiere di rito, il corpo viene sistemato in una specie di bara fatta di tronchi di mendoravy - albero del Sud -, e ha luogo l’inumazione. La folla, per un istante ancora in silenzio, riprende i suoi canti e danze, poi si disperde, salutando con colpi di fucile sparati in aria. Importantissima, oltre al luogo, è la data dell’inumazione: la sepoltura deve coincidere con una precisa fase lunare, nell’ora più propizia di un giorno stabilito. Il luogo, inoltre, va scelto adeguatamente: lontano da un’abitazione (se l’ombra del tumulo la raggiungesse coprirebbe di sventura chi la abita) e in una posizione adatta: se il morto venisse seppellito in un luogo sbagliato, si potrebbe trasformare in un “nemico insaziabile”, una specie di fantasma sempre intento a richiamare a sé i vivi prima del termine concesso loro.

Pubblicato su Smoking, Frigidaire


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