sabato 30 marzo 2013

FILIPPINE - PAZZI PER DIO

La Pasqua, oltre che il periodo più nero dell’anno per gli agnelli, è un momento in cui in alcuni luoghi la fede può rasentare il fanatismo e la teatralità prendere il posto dei riti più tradizionali. Lo spettacolo truculento delle crocifissioni nelle Filippine non ha uguali sulla terra.

Nel 1991 il villaggio di San Fernando Pampanga, nell’isola di Luzon, divenne tristemente famoso per essere stato ricoperto dalle ceneri del vulcano Pinatubo, che allora seminò morte e distruzione in tutta la regione. San Fernando, capoluogo della provincia di Pampanga, che oggi ha ripreso a vivere dopo la tragedia dell’eruzione, è nota nel mondo intero per l’importante kermesse religiosa che ogni anno, durante la Settimana Santa, ricostruisce la passione e il martirio di Cristo. Lo stesso evento si svolge in molte altre località del grande arcipelago, tra cui Manila, Antipolo (Rizal) e Jordan (isola Guimaras), ma la spettacolarità e l’imponenza delle celebrazioni di San Fernando le conferiscono il primato assoluto. Durante la Settimana Santa il piccolo centro di Luzon viene invaso da orde di pellegrini e religiosi dellaIglesia Ni Cristo, la principale corrente cattolica filippina, così come da turisti e fotografi, lì per assistere a uno spettacolo eccezionale. Tra ipampangueños ci sono diverse figure ricorrenti che caratterizzano la festa, impersonate da uomini e donne, tutti fervidi credenti che ricoprono ruoli differenti a seconda delle proprie attitudini e del grado dei peccati che si sentono di dover espiare. Alcuni impersonano gli spiritati, coloro, cioè, che aprono le processioni verso le chiese, trascinandosi in trance lungo le vie della città, con gli occhi riversi al cielo e le braccia sollevate, seguiti da un folto gruppo di fedeli. Con lo sguardo indemoniato, vengono sospinti dalla folla dentro le chiese e percorrono l’intera navata centrale sulle ginocchia, fino all’altare. In testa portano una corona di spine e, in segno di devozione, si distendono a pancia in giù, sul sagrato di ogni chiesa, prima di entrarvi.







I penitenti nel mondo

I penitenti non sono una caratteristica esclusiva di San Fernando, ma anche della città di Palo, ex capitale dell’isola di Leyte. Anche qui il loro momento di gloria è durante la Settimana Santa. I penitenti di Palo (esclusivamente uomini) sono caratterizzati dal cappuccio, utile a mantenere l’anonimato e tolto solo per prendere qualche boccata d’aria. I loro abiti si distinguono in base al colore: quelli con il cappuccio privo di punta e abiti viola sono indossati dagli scapoli, mentre quelli con il cappuccio a punta e le tuniche blu o bianche sono sposati. Gli abiti bianchi, in particolare, contraddistinguono i cerimonieri durante le processioni e la Santa Sepoltura, mentre quelli blu sono indossati dai semplici fedeli che portano in processione l’immagine del Cristo morto. Non si sa se questa tradizione sia stata importata nelle Filippine dai gesuiti, dai francescani o dagli agostiniani. È certo che i gesuiti introdussero la flagellazione a Leyte, e che durante la Controriforma modificarono il loro rituale di processione penitenziale. Il cappuccio stesso, soprattutto quello conico, riprende il copricapo usato dall’Inquisizione. Oggi la processione di Palo si basa su una Via Crucis, introdotta dai francescani nel XV secolo. Il Paese d’origine di tutti i penitentes, però, è la Spagna: da qui, dal villaggio di Perona (Cuenca), un eremita spinse alla penitenza i fedeli, e il rito si diffuse in tutta l’Europa, dando poi origine alla setta dei flagellanti. Di penitenti, infatti, se ne trovano ancor oggi un po’ in tutto il bacino Mediterraneo (in Francia, in Italia, in Grecia e in Ungheria), ma è Siviglia a detenere il primato. I penitentes sivigliani (per i quali la Vergine Maria ha un ruolo più importante di quello del Cristo morto), infatti, possono vantare la Settimana Santa più spettacolare e solenne dell’intero mondo cattolico. Tutte le cinquantadue chiese parrocchiali della città hanno una confraternita e un gruppo di penitenti, ognuno dei quali con due immagini sacre e una Via Crucis differenti. Le processioni durano dalle sei alle dodici ore, e il Venerdì Santo le due effigi principali - quella della Vergine Macarena e quella del Cristo del Grande Potere - sono portate in corteo. In Italia sono noti iPerdoni di Taranto, confratelli che, a piedi nudi e a coppie, sfilano in processione, a partire dalla chiesa del Carmine dalle ore 15 del Venerdì Santo.







Uno spettacolo truculento
Al centro dell’attenzione - forse per il carattere particolarmente truculento -, però, sono i flagellanti, i peccatori più spettacolari che, sentendosi fortemente in colpa per l’anno passato, trascorrono l’intera Settimana Santa martoriandosi le carni: prima tagliuzzandosele, poi battendole con una frusta di legno o con strisce di cuoio nodose, così da far uscire il sangue, spruzzato in ogni dove. Quando si fotografano da vicino gli obiettivi vengono facilmente macchiati di sangue… È opinione diffusa che ogni bravo cristiano, durante questo periodo, debba visitare quante più chiese possibili, passando l’intera settimana dall’una all’altra. Bendati in volto e vestiti di soli jeans, i flagellanti si trascinano lungo le strade di San Fernando all’inquietante suono delle fruste che schioccano sulle schiene, accompagnati da gruppetti di aiutanti - perlopiù bande di ragazzini - che, ogni tanto, danno loro un po’ d’acqua, ripuliscono le ferite, interrompono il traffico per attraversare le strade e accendono una sigaretta, spezzando il ritmo estenuante della marcia. Giunti sui sagrati, i flagellanti si distendono ripetutamente in direzione dei punti cardinali, quindi si fanno picchiare dagli ‘aiutanti’ a bastonate, frustate o, addirittura, ciabattate - da chi è sprovvisto di mezzi di martirio più possenti.  I flagellanti iniziano la loro lunga e faticosa processione facendosi tagliuzzare meticolosamente la schiena con un marchingegno apposito, costituito da una specie di ‘spazzola’ ai cui denti sono state sostituite lamette da barba. Solo dopo questa ‘preparazione’ possono cominciare a frustare il dorso, con movimenti rotatori, imbrattandosi e imbrattando di sangue chi li circonda. Quello dei flagellanti è il gruppo più folto delle processioni di San Fernando ed è costituito esclusivamente da uomini, provenienti un po’ da tutto il Paese. Così come dai flagellanti, le stesse chiese - sembra essercene una in ogni strada - sono visitate incessantemente anche dai penitenti che, sempre per espiare colpe, portano croci di legno pesantissime e gigantesche sulle spalle, vestiti generalmente con un lungo saio rosso e un cappuccio sul volto. Anch’essi vengono accompagnati da gruppi di ragazzini, utili soprattutto a fermare le automobili durante l’attraversamento delle vie trafficate.

















I flagellanti nel mondo

Di probabile origine orientale, la flagellazione - diffusa nell’antico Egitto e in Grecia - deriva dalla pratica ascetica dei monaci per entrare in trance, purificarsi e avere visioni di dio. Con il sorgere dei primi ordini religiosi - che l’adottarono come forma di penitenza o di punizione -, la flagellazione si diffuse anche in Occidente, sia in campo religioso sia laico. Divenne uno dei principali strumenti di penitenza per la confraternita dei disciplinati (XIII sec.), per i quali rappresentava anche una rievocazione simbolica del martirio di Cristo. La confraternita, sorta nel 1258-60 nell’Italia centro-settentrionale per opera dell’eremita umbro Raniero Fasani, successivamente si diffuse anche nel resto d’Europa. Tra le pratiche più seguite da questa confraternita di flagellanti c’era quella di un viaggio di trentatré giorni, con più flagellazioni quotidiane, accompagnate da lodi e salmi. Movimenti simili nacquero e si diffusero fino al XV secolo, ben dopo la condanna ufficiale di questa pratica da parte di papa Clemente VI (1349). In Sicilia la flagellazione continua a vivere in occasione dellaProcessione dei Misteri a Trapani. Durante la Settimana Santa i ventuno gruppi cittadini che inscenano la Via Crucis (ognuno caratterizzato da un “tema” e da un abbigliamento peculiare) sfilano per le vie della città, ma solo il Gruppo della Passione ha i flagellanti. Quello della Madonna, invece, ha gli incappucciati. La processione ha inizio il Venerdì Santo, alle ore 14, a partire dalla chiesa del Purgatorio. Altre Processioni dei Misteri si tengono in luoghi minori della provincia, ma non così spettacolari come quella del capoluogo.
La flagellazione, però, non è una prerogativa esclusiva del mondo cattolico. Anche per l’induismo, infatti, seppure con forme diverse, il martoriare autolesivo delle carni rappresenta una forma di fede in molti luoghi. A Singapore e in Malesia, dove vivono grandi comunità indiane, la festa di Thaipusam (in gennaio-febbraio), offre uno spettacolo impressionante. In quei giorni i fedeli indù bisognosi di espiare i propri peccati, così come quelli che hanno fatto voti in occasione di gravi malattie dalle quali sono guariti, trasportano ikavadis (pesanti armature di legno appuntito decorate con fiori) sulle spalle, in processione per le vie di Singapore, Kuala Lumpur o Penang. La festa si tiene durante l’anniversario della nascita del dio Murugan (Subramaniam) e alcuni fedeli arrivano a conficcarsi spilloni e pezzi di ferro nella carne (tra le guance, la lingua o la pelle della schiena), mentre altri camminano su braci ardenti. Il kavadi è agganciato alla pelle dei fedeli per mezzo di catene. Nell’eseguire queste pratiche, dopo essere caduti in trance, non versano una sola goccia di sangue, né provano dolore: l’estasi verso dio impedisce loro di provare sensazioni “materiali”. A Singapore queste processioni si tengono soprattutto presso il tempio Chettiar e quello di Sri Srinvasa Perumal, mentre a Penang - dove la festa è pubblica - il luogo prescelto è la cascata. A Kuala Lumpur i riti avvengono presso le grotte Batu, dove i devoti, in trance ipnotico, salgono lungo i 272 scalini della grotta in cui l’effigie sacra di Subramaniam è custodita. Sempre a Singapore, ogni 24 ottobre, si tiene un’altra “corsa del fuoco”, chiamata Thimithi. Questa simboleggia la corsa sul fuoco che Draupadi - secondo il poema epico indiano Mahabaratha - fece per provare la sua castità. Il rito si tiene soprattutto nel tempio Sri Mariamman, dove i fedeli camminano su braci ardenti per rendere omaggio al trionfo di Draupadi, per adempiere a voti e riaffermare il loro destino. A Yangon (ex Rangoon, capitale del Myanmar), invece, la comunità indù festeggia il Murugu (in ottobre), una processione simile al Thaipusam: i flagellanti percorrono le vie della città, facendo delle soste soprattutto al tempio di Krishna e a quello di Kali (la dea sanguinaria). Sempre a Singapore, infine, la comunità cinese celebra l’anniversario del dio Scimmia ogni sedicesimo giorno dell’ottavo mese del calendario lunare. Secondo la leggenda, il dio accompagnò un monaco dalla Cina all’India per diffondere il buddismo, e durante il viaggio dovette combattere gli spiriti malvagi, riuscendo a sconfiggerli. Durante la celebrazione, nei templi i medium in contatto con gli spiriti si flagellano le carni con punte metalliche e, in trance, scrivono formule magiche per i credenti.





La via crucis
Il clou della kermesse consiste nella teatrale via crucis del Venerdì Santo. Un abitante di San Fernando che si sente particolarmente peccatore ricopre il ruolo di Gesù - molto ambito - e, come tale, viene crocefisso. I romani a cavallo, con gli occhi a mandorla ma avvolti da impeccabili tuniche rosse degne del periodo d’oro di Cesare, si dirigono verso l’abitazione di Cristo, seguiti da frotte di curiosi, e lo arrestano. Il Messia, che fissa attonito le mani - sa che cosa lo aspetta - viene quindi condotto da Ponzio Pilato, il quale lo attende su un palco, armato di microfono. Da lì Pilato ingiuria e deride pubblicamente Gesù, ‘lavandosi’ - letteralmente, in una bacinella passatagli da un addetto - le mani. Nel frattempo le vergini, impersonate da ragazze estremamente abili nell’arte della recitazione, si lamentano e piangono al microfono, accompagnando la via crucis verso il Calvario, dove Cristo sarà crocefisso. L’altura si trova in un campo di riso, su una collinetta alle porte del paese, in località Barangay (quartiere) San Pedro. Le vergini, a ogni caduta di Gesù lungo la via crucis, distendono e mostrano ai pellegrini una tripla Sacra Sindone stampata a macchina, simile a una t-shirt, piangendo e disperandosi come attrici di prim’ordine: sono in grado di passare dal pianto della parte al riso - naturale, quando chiacchierano fra loro - in una frazione di secondo. La folla precede l’arrivo di Gesù alla collinetta su cui sarà crocefisso e l’altura viene recintata per tenere fuori i troppi curiosi.










Chiodi veri
A mezzogiorno tre grandi croci di legno - una per Cristo e due per i ladroni - sono issate per mezzo di corde e, a un gesto del comandante romano, Gesù viene inchiodato per le mani. I chiodi sono assolutamente veri, di dimensioni impressionanti - attorno ai dieci centimetri -, e fanno male solo a guardarli: Gesù, così come i ladroni, lancia grida di dolore. I locali, tra i quali il paesano che impersona Cristo, affermano che le ferite si rimargineranno in soli tre giorni e spesso è la stessa persona, non soddisfatta dal dolore provato, a ricoprire il ruolo di Gesù per più anni di seguito. Qualche soldato romano dotato di particolare cattiveria punzecchia con la lancia affilata il petto di Gesù e dei ladroni, facendone uscire il sangue. Tutti i martiri, Cristo e i ladroni, vengono inchiodati solo alle mani, mentre i piedi sono legati con una corda e sorretti da un predellino di legno alla base delle piante, così da non far ricadere il peso del corpo sulle mani lacere. Spesso anche una donna, travisando la dottrina, si offre per essere crocefissa, ma, solitamente, rinuncia poco prima di venire inchiodata, presa da una crisi di nervi. Con le mani legate e un folto gruppo di amiche che la consolano, desta grande curiosità fra i pellegrini.






Anche in Brasile

Un’interessantissima rappresentazione della passione di Cristo è quella che si svolge, ogni anno durante la Settimana Santa, nella cittadina di Fazenda Nova, nello Stato nordestino del Pernambuco, Brasile. Per l’occasione vengono ingaggiati i migliori attori delle telenovelas, che prendono le parti dei principali personaggi, e la rappresentazione si svolge in un complesso apposito, chiamato Nova Jerusalém (Nuova Gerusalemme). La struttura è composta da settanta torri, mura alte tre metri, sette portoni e dodici palchi teatrali, e la folla di spettatori - credenti e semplici curiosi - partecipa in massa. I giorni cruciali sono il sabato e la domenica, quando le rappresentazioni si svolgono su un’area pari a circa un terzo di quella originariamente occupata da Gerusalemme. L’evento è divenuto di tale importanza nel calendario delle feste e della religiosità brasiliane da essere addirittura stato riprodotto su una scheda telefonica: Gesù Cristo, nella foto, cammina sorridente tra gli Apostoli.



Altri riti
A queste rappresentazioni fanno da contorno diverse processioni di stampo più ortodosso. Un po’ dovunque vengono allestite chiesette improvvisate, all’interno di capannoni o di case da cui le donne, armate di microfoni e altoparlanti, diffondono in tutto il circondario la lettura incessante di brani della Bibbia, generalmente a volume altissimo. La lettura dura ventiquattrore al giorno e le donne si danno il turno. Alle finestre delle chiesette a volte pendono catene fatte di anelli di carta intrecciati dai bambini, a simboleggiare il giogo di Cristo. Imponenti sono le processioni, soprattutto di sera, a seguito delle tante effigi sacre, disposte su carri infiorati e ricoperti - la Domenica delle Palme - da steli di foglie intrecciate, in sostituzione ai rami d’ulivo. Anche all’interno delle chiese le immagini vengono visitate da gruppi di fedeli, i quali strofinano batuffoli di cotone sugli arti o sul volto dei santi o di Gesù: li conserveranno come reliquie domestiche. Il cotone è distribuito da incaricati appositi e i batuffoli, dopo essere stati fregati sui piedi o le mani del Cristo, vengono passati sul proprio corpo dai fedeli, in segno di benedizione e medicamento. Una delle immagini più adorate è quella del Santo Niño de Cebu, una specie di Gesù bambino in miniatura, sempre raffigurato in piedi e vestito con un manto principesco e una coroncina luccicante: è l’immagine più venerata dai filippini e, in pratica, se ne trova una in ogni casa del grande arcipelago. Anche i villaggi attigui noti per qualche santuario o effigie vengono visitati dai pellegrini, come quello di Nuestra Señora de Lourdes, situato sulla sommità di un alto colle nella località di Grotto. In quei giorni le chiese del circondario sono talmente affollate che spesso i posti a sedere vengono prenotati in anticipo, riservati con cartellini esposti in una bacheca all’entrata. Molti sono anche i mendicanti che, approfittando dell’importante ricorrenza, affollano le entrate delle chiese. E i fedeli, pervasi da un particolare spirito di compassione e generosità, non si esimono dall’elargire abbondanti elemosine.


Pubblicato su EssereSmoking

lunedì 25 marzo 2013

SAN MARINO - L'INVESTITURA DEI CAPITANI REGGENTI


Ogni primo aprile e primo ottobre la Repubblica di San Marino, fino dal lontano 1243, celebra l’investitura dei due Capitani Reggenti, i capi di Stato che presiedono gli organi istituzionali del Monte Titano. Questa insolita tradizione di gestione del potere, a rotazione semestrale, risale all’epoca comunale, quando furono introdotte le figure dei Consules, i primi Consoli, Filippo da Sterpeto e Oddone Scarito. Oggi, almeno sulla carta, i Capitani Reggenti hanno il potere di sciogliere il governo e di indire le elezioni, anche se in realtà svolgono soprattutto una funzione di rappresentanza. Sono le uniche figure ad avere conservato un trono (in legno) e a presiedere il Consiglio Grande e Generale (un Parlamento monocamerale costituito da sessanta membri che vengono eletti ogni cinque anni) e il Congresso dei Dieci (ministri). Ai membri del Consiglio Grande e Generale spetta il compito di designare i Capitani Reggenti, i quali non possono essere rieletti per tre anni.


La leggenda della fondazione
San Marino, secondo la leggenda - non ci sono vere e proprie testimonianze storiche a riguardo - e secondo la legge del 1941 che ha istituzionalizzato la data della fondazione, nacque nel 301 d.C. da uno scalpellino originario dell’isola di Arbe, in Dalmazia. Marino era stato ingaggiato, insieme all’amico Leone, per lavorare alla ricostruzione del municipio di Rimini. Terminati i lavori, dopo alcuni anni, Leone si ritirò in preghiera nell’attuale San Leo, all’epoca chiamata monte Feretrius. Marino, rimasto a Rimini, dovette fuggire, a quanto pare per depistare una donna che si proclamava sua moglie. All’epoca dell’imperatore Diocleziano, dunque, Marino fondò una piccola comunità di cristiani perseguitati sul Monte Titano, una vetta di difficile accesso. Marino, tuttavia, non fu ben accetto dai signori locali, almeno finché uno di questi non si ammalò e fu ‘miracolosamente’ salvato da Marino. Lo scalpellino, da quel momento, iniziò e essere noto per i miracoli e venne santificato. Di lui oggi non rimangono che la leggenda, le ossa, conservate in una teca della Pieve (la Basilica, nella piazza Domus Plebis; lì si trova una statua del santo, opera del Tadolini, mentre le ossa sono contenute in un’urna all’interno dell’altare maggiore) e il giaciglio.













L’evoluzione della Repubblica
In seguito, la comunità religiosa crebbe fino a trasformarsi in una libera società civile e in un comune indipendente. L’indipendenza della Repubblica, in effetti, è di antica data. Uno dei primi documenti che ne attestano l’autonomia locale dalle vicine Marche e Romagna è il Placito Feretrano (885), un manoscritto in cui è riportata la controversia riguardante la proprietà di beni fra l’abate Stefano di San Marino e il vescovo Deltone di Rimini. Il primo ebbe la meglio.
Il territorio indipendente, sessanta chilometri quadrati nei quali vivono circa ventiseimila residenti ufficiali, si chiamò inizialmente ‘Terra di San Marino’, quindi ‘Comune di San Marino’ e, infine, ‘Repubblica di San Marino’. L’autogoverno fu affidato a un’assemblea di capifamiglia cui venne dato il nome di Arengo. A capo di questa istituzione fu posto un Rettore, il quale contrassegnò gli Statuti, le prime leggi democratiche. Successivamente, al Rettore fu affiancata la figura del Capitano Difensore, utile a condividere la responsabilità dell’esecutivo. Nel Duecento questa struttura si trasformò nell’istituzione dei due Capitani Reggenti, scelti tra le figure più importanti della città-Stato. Una delle più antiche democrazie del mondo, la Repubblica di San Marino combatté la sua ultima guerra nel 1462. Ma la sua indipendenza, mantenuta spesso grazie agli abili balestrieri e all’alta muraglia che circonda le tre rocche - la Guaita, la Cesta e il Montale -, fu messa in crisi solo due volte nel corso della storia. La prima conquista armata risale al 1503, quando Cesare Borgia, ‘il Valentino’, occupò il Monte Titano per pochi mesi. La sua morte repentina ridiede la libertà a San Marino. Nel 1739, invece, fu il cardinale Giulio Alberoni a occupare il territorio con le armi. I sanmarinesi seppero sottrarsi a questo occupatore con la disobbedienza civile, inviando richieste di giustizia clandestinamente al papa, il quale riconobbe l’indipendenza della Repubblica. Nel 1741, poco dopo l’ultimo attacco subito, fu istituita la Guardia del Consiglio (o Guardia Nobile), un corpo armato di volontari che, fino a oggi, ha il compito di scortare i Capitani Reggenti e gli esponenti degli organismi istituzionali.


La parata dei Capitani Reggenti

 La parata del primo aprile e del primo ottobre vede la Guardia del Consiglio in prima fila, nel corso di una cerimonia suggestiva che da secoli si svolge secondo un protocollo immutato. Attraverso le vie tortuose i militari - professionisti e lavoratori durante la vita di tutti i giorni - in alta uniforme (contraddistinta dall’elmo con le piume bianche e azzurre, i colori della bandiera) sfilano in corteo e accompagnano le massime autorità della repubblica, primi fra tutti i Capitani Reggenti, caratterizzati dagli spadini con le else d’oro, il berretto con tocco di ermellino, un corsaletto di seta, calzoni a sbuffo e mantella di velluto nero. Al corteo partecipano anche i ‘donzelli’ dei Capitani Reggenti - specie di ombre vive che li scortano dovunque - e i membri del corpo diplomatico e consolare, oltre agli altri corpi militari. L’imponente sfilata inizia attorno alle 10 del mattino e ha come capolinea il Palazzo Pubblico (1894), nella Piazza della Libertà - il cosiddetto ‘Pianello’ -, dove campeggia la statua omonima, regalata nell’Ottocento da una donna tedesca con ambizioni aristocratiche (dopo il suo gesto generoso fu insignita del titolo di duchessa di Rancidello e, quindi, di Acquaviva). Il Palazzo Pubblico è presidiato dalla Guardia di Rocca, che negli altri giorni effettua il cambio ogni ora. Un’altra occasione per vedere i Capitani Reggenti in alta uniforme è il 3 settembre, quando si tiene una sfilata in concomitanza a una messa solenne nella basilica, in onore al santo Marino.









San Marino oggi, fra turismo e difesa dei privilegi
Rifatta quasi completamente fra Ottocento e Novecento, oggi la piccola Repubblica incuneata fra l’Emilia Romagna e le Marche è una meta turistica internazionale, affollata soprattutto durante i fine settimana, quando riuscire a trovare un posto per l’auto, nonostante i molti parcheggi disposti su più livelli, è una missione impossibile. Cittadini russi, tedeschi, così come italiani di ogni regione, affollano le vie in pendenza che conducono da una Rocca all’altra, apparentemente posseduti dalla frenesia dello shopping. Quasi nessun visitatore, di solito, riesce a tornare a casa senza avere acquistato qualche souvenir piuttosto kitsch, solitamente ispirato al passato medievale del luogo (balestre o mazze chiodate in miniatura…). La cittadella fortificata, visibilmente rifatta, domina la vallata sottostante, moderna e dedita in gran parte alla media e piccola industria. Il particolare regime economico della Repubblica, dove in pratica non esiste la disoccupazione, ha suscitato molte invidie e un’infinità di polemiche in questi anni. Tra mini-casinò illegali, esenzioni fiscali di dubbia fondatezza, frodi all’IVA, millequattrocento società anonime, San Marino è finita più volte sotto la lente di ingrandimento degli organi di controllo economico e della magistratura italiane. Da qualche anno, però, le nuove autorità che governano il Paese hanno cercato di alleviare il contenzioso fiscale, per esempio combattendo il fenomeno delle fatturazioni ‘fantasiose’. La Repubblica del Monte Titano, nel frattempo, tenta di difendere i propri confini economici. Tanto da essere arrivata a proibire l’ingresso alle assistenti domiciliari e alle infermiere straniere con meno di cinquanta anni. I troppi matrimoni combinati o interessati con cittadini sanmarinesi hanno fatto sì che il legislatore intervenisse a tutela dell’invasione di questa piccola e benestante Disneyland a metà strada fra il Medio Evo e la Romagna. C’è da chiedersi se questo limite di età abbia un senso - oltre i cinquant’anni i desideri scompaiono? -, tanto che la locale Federazione dei pensionati si è infuriata e ha scritto una lettera pubblica di protesta, affermando come non sia possibile impedire matrimoni, nel Duemila e rotti, con un editto medievale.

pubblicato su Qui TouringSmoking


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